Venezia ospita “Memory of Hope”: la mostra di Gulnur Mukazhanova alla Biennale

La Biennale di Venezia presenta “Gulnur Mukazhanova. Memory of Hope”, un’esposizione che esplora l’eredità di Marco Polo attraverso arte tessile e installazioni, visitabile fino al 10 febbraio 2025.
Venezia ospita "Memory of Hope": la mostra di Gulnur Mukazhanova alla Biennale - Tendenzediviaggio.it - Foto generata con AI

La Biennale di Venezia ha aperto le porte alla mostra “Gulnur Mukazhanova. Memory of Hope“, curata da Luigia Lonardelli. L’evento è ospitato presso la storica Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, nel cuore di Venezia, e rimarrà visitabile fino al 10 febbraio 2025. Questa esposizione rappresenta la seconda tappa di un importante progetto speciale che coinvolge l’Archivio Storico della Biennale, dedicato all’eredità di Marco Polo, celebrato nel 2024 per il suo 700° anniversario dalla morte.

Un viaggio tra arte e storia

La mostra “Memory of Hope” si colloca nel progetto “È il vento che fa il cielo“, un’iniziativa che esplora la vita e i viaggi di Marco Polo attraverso diversi territori. La prima tappa ha avuto luogo a Hangzhou, dove è stata inaugurata la mostra “Il sentiero perfetto“, visitata anche dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella. Questa tappa veneziana, invece, si concentra sulla figura di Niccolò e Matteo Polo, il padre e lo zio dell’esploratore, che intrapresero viaggi poco conosciuti verso l’Est. Attraversando le vastità delle steppe del Kazakhstan, hanno pavimentato la strada per futuri esploratori. Le regioni desertiche al confine dell’Europa e dell’Asia hanno storicamente rappresentato un crocevia di culture e scambi, contribuendo a un processo di connessione unica tra due mondi.

Il progetto si espanderà ulteriormente, toccando Istanbul nell’autunno del 2025, segnando un percorso che intreccia storia, arte e geografie.

Gulnur Mukazhanova e la tradizione tessile

Gulnur Mukazhanova, l’artista protagonista di questa mostra, è originaria del Kazakhstan e ha costruito la sua carriera a Berlino dove risiede da oltre un decennio. La sua arte, fortemente radicata nella tradizione tessile, si distingue per l’uso di lana, fibre di seta e tessuti antichi, uniti in composizioni che evocano la ricca eredità culturale asiatica. Ogni opera si presenta come un’arena di influenze disparate, in cui elementi visivi e materiali, lontani tra loro, vengono armonizzati con maestria dall’artista.

La curatrice Luigia Lonardelli sottolinea come l’intervento di Mukazhanova ridisegni l’ambiente espositivo della Sala delle Colonne, creando un dialogo fluido tra l’opera e lo spazio. L’idea di un’acqua che pervade e scorre nello spazio si ispira al simbolismo dell’infinito e delle linee del drago, presenti nelle culture orientali. L’artista è parte di una generazione che ha avuto visibilità nel Padiglione Asia Centrale della Biennale, dove il dialogo tra identità artistiche è sempre presente, ponendo l’accento su come le memorie presovietiche possano interagire con le nuove realtà indipendenti.

Un’identità in continua evoluzione

Nata negli anni Ottanta, Mukazhanova ha vissuto il tumulto della disintegrazione dell’Unione Sovietica durante la sua infanzia, assistendo alla nascita del Kazakhstan indipendente. Questo sfondo complesso si riflette nel suo lavoro, che non cerca di incasellare l’identità artistica in categorie fisse. Anziché definire limitazioni, Mukazhanova abbraccia la ricchezza delle influenze visive con cui è cresciuta.

La curatrice Lonardelli evidenzia come l’artista mescoli tessuti usati e tradizioni nomadiche con elementi della produzione moderna cinese. Questi contrasti di iconografie e materiali trasformano le opere in spazi visivi amplimenti che richiamano i vasti orizzonti delle steppe euroasiatiche. Mentre il pubblico esplora le opere, ogni pezzo invita a una riflessione sulla superficie visiva e sulle storie che portano con sé.

L’installazione di Cevdet Erek e la sua simbolicità

In parallelo a “Memory of Hope”, la mostra presenta “Amfibio“, l’installazione dell’artista Cevdet Erek, originario di Istanbul. Commissionata dalla Biennale, l’opera è un luogo di sosta e incontro, progettato per adattarsi alle tradizioni architettoniche della zona. L’installazione presenta una struttura che evidenzia i suoi elementi costruttivi, trasmettendo un senso di transitorietà, come se fosse un porto in attesa di un nuovo viaggio.

La curatrice descrive “Amfibio” come una moderna carovana, un riparo temporaneo che accoglie artisti e visitatori. L’opera rappresenta ciò che significa attraversare spazi e culture, permettendo una riflessione sulla natura del viaggio e sulle connessioni che si creano lungo il cammino.

L’identità grafica del progetto

L’aspetto visivo del progetto, sviluppato da Headline di Rovereto, gioca un ruolo fondamentale. Utilizza forme geometriche tridimensionali che rimandano al simbolo del Dao, riflettendo l’articolato percorso di questo viaggio culturale. Questa scelta non è casuale: le geometrie evocano il movimento e il progresso, evidenziando l’intento di unire le diverse esperienze artistiche e culturali finora esplorate.

L’incredibile interazione tra arte e storia che si manifesta in questa mostra arricchisce non solo Venezia ma anche il panorama culturale contemporaneo, invitando tutti a intraprendere il proprio viaggio attraverso esperienze visive e sonore.

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