“Usa, il dilemma del Pentagono: Strategie di difesa e risposta agli attacchi”

L’incertezza sulla strategia di contrasto ai gruppi sostenuti dall’Iran crea divisioni nel Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti

L’ondata di attacchi contro le forze statunitensi dispiegate all’estero ha creato divisioni all’interno del Dipartimento della Difesa a Washington, dove c’è chi esprime scontento per quella che viene considerata un’incoerente strategia di contrasto ai gruppi sostenuti dall’Iran, ritenuti responsabili, e non manca di sottolineare come i limitati attacchi aerei di ritorsione approvati dal presidente Joe Biden non siano riusciti a fermare le violenze.

Secondo quanto riportato dal Washington Post, un funzionario della difesa ha dichiarato: “Non esiste una definizione chiara di ciò che stiamo cercando di scoraggiare. Stiamo cercando di scoraggiare futuri attacchi iraniani? Beh, chiaramente non funziona”. La rabbia crescente in Medio Oriente per il sostegno degli Stati Uniti alla campagna militare israeliana a Gaza ha accresciuto la preoccupazione di Biden e dei suoi vice rispetto a qualsiasi reazione eccessiva agli attacchi contro il personale americano, perché rischierebbero di incoraggiare l’ampliamento del conflitto.

Gli avvertimenti agli attacchi non ascoltati e le azioni intraprese finora

In concomitanza con gli attacchi aerei, i funzionari dell’amministrazione hanno ripetutamente esortato Teheran nell’ultimo mese a tenere a freno i gruppi di milizie che sostiene, avvertendo che gli Stati Uniti hanno “il diritto” di rispondere “in un momento a nostra scelta”. Ma quegli avvertimenti sono rimasti inascoltati.

Dal 17 ottobre, le truppe statunitensi in Iraq e in Siria hanno dovuto affrontare attacchi quasi quotidiani con razzi e droni, per un totale di almeno 61 incidenti e altrettanti feriti. I dati del Pentagono ottenuti dal Washington Post mostrano che gli attacchi hanno preso di mira 10 basi utilizzate dal personale americano in entrambi i paesi.

In risposta, Biden ha autorizzato tre serie di attacchi aerei, tutti nella Siria orientale. Il più recente, il 12 novembre, ha preso di mira siti identificati dal Pentagono come utilizzati dal Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane e da “gruppi affiliati all’Iran”. Un funzionario americano ha reso noto che almeno sette miliziani sono stati uccisi, una stima considerata “approssimativa”. Il Pentagono ha fornito al presidente ulteriori opzioni oltre alle azioni intraprese fino ad oggi. E secondo la stessa fonte all’interno del Dipartimento della Difesa vi sono crescenti dubbi sull’attuale approccio.

Le sfide e le alternative alla strategia attuale

In una dichiarazione, la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Adrienne Watson, ha affermato che Biden ha dimostrato “che non esiterà mai ad agire per proteggere le forze americane” e che il presidente è “pienamente preparato ad adottare ulteriori misure in qualsiasi momento per proteggere il nostro popolo”.

Tuttavia, il senatore repubblicano Kevin Cramer ha espresso preoccupazione per l’assenza di una deterrenza efficace: “Non vedo alcuna deterrenza. Continuano a sparare, aspettando che rispondiamo. Noi non lo facciamo, quindi continuano a sparare. E alla fine uno di quei droni, o uno di quei missili o razzi, ucciderà un americano”. Cramer ha suggerito un approccio più aggressivo anziché strettamente difensivo.

L’alto funzionario della difesa statunitense che ha parlato con il Washington Post ha riconosciuto che il Pentagono vede poche buone alternative alle misure adottate finora. Effettuare attacchi in Iraq potrebbe potenzialmente esacerbare il sentimento anti-americano nel paese, dove le truppe statunitensi sono dispiegate su invito del governo di Baghdad. Gli attacchi diretti all’Iran equivarrebbero a una massiccia escalation. Ma al Pentagono si continuano a studiare nuove opzioni, hanno annunciato le fonti citate dal giornale americano.

Martedì, la portavoce del Dipartimento della Difesa Sabrina Singh ha contestato l’ipotesi secondo cui questi attacchi prolungati contro le forze americane avrebbero rivelato le carenze della strategia di deterrenza dell’amministrazione. Ha sottolineato che il fatto che la guerra a Gaza non si sia allargata è la prova che l’approccio sta funzionando.

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