Edvard Munch, celebre per l’iconico “L’Urlo”, è un pittore la cui opera complessa e struggente merita di essere esplorata al di là del suo capolavoro iconico. Quale occasione migliore dell’80° anniversario della sua morte all’inizio di quest’anno? Nato il 12 dicembre 1893 nel villaggio di Ådalsbruk, nel sud della Norvegia, Munch si spense il 23 gennaio 1944 nella sua casa di Ekely, vicino a Oslo. Oggi ricordiamo gli ottant’anni dalla sua morte.
L’infanzia di Munch fu segnata da una salute fragile, numerose perdite (tra cui la madre deceduta per tubercolosi) e la pervasiva paura delle malattie mentali presenti nella sua famiglia. Il giovane Munch trovò conforto negli ambienti anarchici, nichilisti e bohémien della cultura norvegese, specialmente sotto l’influenza del filosofo e attivista Hans Jæger, che lo spinse a dipingere come espressione dei suoi tormenti interiori.
Nei decisivi anni della sua formazione alla fine del XIX secolo, Munch viaggiò a Parigi, dove entrò in contatto con l’espressionismo e artisti come Gauguin, Van Gogh e Toulouse-Lautrec. Il suo percorso continuò a Berlino, dove interagì con intellettuali come August Strindberg. A partire dal 1893, lavorò su opere scandalose come “La Morte nella Stanza del Malato”, ritornando sul dolore fondante della sua sorella. Fu in questo periodo che concepì e realizzò “L’Urlo”, presente in quattro versioni (due pastelli e due dipinti).
Munch si immerse nella creazione de “Il Fregio della Vita”, una raccolta auto-curata che cercava di organizzare le sue opere intorno a temi come amore, morte, perdita e angoscia esistenziale. Questa collezione fu esposta integralmente a partire dal 1902. Tuttavia, nel 1908, ebbe un tremendo crollo nervoso, culmine di anni trascorsi accumulando dolore, ansia, stress e un inarrestabile alcolismo.
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