La storia di Giovanna Canzi, giornalista e curatrice di mostre, rappresenta uno spaccato profondo e toccante della vita dentro un carcere lombardo. Il suo recente libro, “Lontano dalla vita degli altri”, offre uno sguardo intimo su un contesto difficile da comprendere per chi vive all’esterno delle mura penitenziarie. L’opera, composta da 72 pagine e pubblicata da Marinoni Books, esplora il potere dell’istruzione come mezzo di trasformazione personale e sociale per coloro che, segnati da errori del passato, possono trovare un nuovo inizio attraverso la cultura.
L’esperienza di Canzi si svolge nella Settima sezione di un carcere, che ospita detenuti con storie complesse. I sex offender, più di altri, portano con sé un bagaglio pesante di stigmi e pregiudizi. Il carcere in sé rappresenta un ambiente estraneo, quasi invisibile per la maggioranza, situato vicino a una discarica, un’ulteriore metafora della marginalizzazione di queste vite. Nel libro, si evidenzia come il carcere non sia solo un luogo di detenzione, ma un mondo a sé stante, dove le ore scorrono in modo diverso e dove il concetto di tempo sembra essere smarrito. L’atmosfera è pesante, eppure Giovanna riesce a creare un ponte con i suoi studenti, uomini e donne che attendono di riscoprire un’identità oltre il loro passato.
Il metodo di insegnamento adottato da Canzi si distacca dalla narrazione tradizionale. Le sue lezioni non sono un semplice trasferimento di conoscenze, ma diventano uno scambio profondo, quasi un dialogo intercettato nel silenzio di mura spesse. L’approccio empatico le consente di entrare in contatto con i suoi allievi, che variano da individui diffidenti a quelli affamati di conoscenza. Le sue descrizioni, arricchite dalle illustrazioni evocative di Gabriella Giandelli, catturano il fremito di questi incontri quotidiani. Non c’è spazio per il pietismo né per i moralismi: il passato dei detenuti rimane sullo sfondo, permettendo agli studenti di esplorare nuove narrazioni e rinnovati orizzonti.
Nel carcere, le sentenze sono già state emesse, e ogni giorno si gioca la partita di una vita nuova. Canzi, come una giardiniera paziente, pianta semi di speranza. Il suo obiettivo è facilitare un percorso di reinserimento, spingendo gli studenti a scoprire l’amore per le parole e per la comunicazione. La relazione fra docente e studenti diventa cruciale; non si tratta solo di insegnare a leggere e scrivere, ma di instaurare una connessione umana genuina. La vita in aula non è definita dai reati, ma dalle aspirazioni di chi vi partecipa.
Il percorso educativo di Canzi all’interno del carcere conclude con un inevitabile distacco che si rivela una difficoltà. “Lo strappo è stato doloroso”, afferma, e quelle parole racchiudono la fatica emotiva vissuta nel salutare i suoi studenti. Nonostante l’esperienza sia giunta al termine, il legame instaurato tramite la cultura e l’istruzione lascia una traccia incancellabile. I ritratti dei detenuti descritti nel libro pongono l’accento sul coraggio di trasformarsi, sul cambiamento che intercorre quando le parole diventano strumenti di libertà.
Il viaggio di Canzi ci ricorda quanto possa essere potente il ruolo dell’istruzione nel superare le avversità. La sua narrazione dimostra che l’insegnamento può andare oltre i contenuti accademici, diventando una pratica di cura e ascolto. Attraverso questo libro, viene offerta una chiave di lettura per riflettere su un tema attuale: come la conoscenza possa fungere da leva per offrire nuove possibilità a chi si trova ai margini della società, a chi è “lontano dalla vita degli altri”.