La procura di Trani ha presentato un ricorso contro l’assoluzione di Luigi Terrone, il datore di lavoro di Paola Clemete, la 49enne bracciante agricola morta in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015. Terrone era stato processato con l’accusa di omicidio colposo ed è stato assolto il 15 aprile scorso. La notizia è stata pubblicata dalla Gazzetta del Mezzogiorno e confermata all’ANSA da fonti giudiziarie.
Nel ricorso contro l’assoluzione, il pubblico ministero di Trani, Roberta Moramarco, sostiene che la morte della bracciante sia stata “la conseguenza di una serie di eventi, l’ultimo dei quali è stato la mancanza di una adeguata ‘catena della sopravvivenza’”.
Il magistrato sottolinea “la mancanza di procedure di primo soccorso che avrebbero consentito l’attivazione tempestiva dei primi due anelli della catena dell’emergenza, che rappresentano un momento cruciale per la sopravvivenza dell’infortunato, in attesa dell’arrivo del soccorso avanzato”.
La pm Moramarco fa anche presente che gli esperti hanno affermato che la donna presentava “importanti fattori di rischio specifici, per cui il suo inserimento nel settore agricolo avrebbe dovuto essere meglio valutato, almeno nella fase pre-assuntiva”. “Era quindi doveroso – sostiene la pm – che il datore di lavoro, come riconosciuto dallo stesso giudice, sottoponesse i lavoratori, tra cui Paola Clemente, a una visita medica preventiva, tenendo conto dei rischi legati all’attività di innesto delle viti”.
La procura di Trani ha presentato un ricorso contro l’assoluzione di Luigi Terrone, il datore di lavoro di Paola Clemete, la 49enne bracciante agricola morta in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015. Terrone era finito sotto processo con l’accusa di omicidio colposo ed è stato assolto il 15 aprile scorso. Secondo quanto riferisce il quotidiano, nel ricorso contro l’assoluzione il pubblico ministero di Trani, Roberta Moramarco, ritiene che la morte della bracciante fu “la conseguenza di una cascata di eventi, l’ultimo dei quali consistito nella mancanza di una idonea ‘catena della sopravvivenza’”. Il magistrato evidenzia “l’omessa predisposizione di procedure di primo soccorso che consentissero l’attivazione precoce e tempestiva dei primi due anelli della catena dell’emergenza che, in attesa dell’arrivo del soccorso avanzato, rappresentano un momento chiave per permettere la sopravvivenza dell’infortunato”. La pm Moramarco ricorda inoltre – scrive il quotidiano – come i periti abbiano affermato che la donna presentava “importanti fattori di rischio specifico per cui il suo avvio al mondo agricolo doveva essere, almeno in fase pre-assuntiva, meglio stratificato”. “Era, pertanto, doveroso – ritiene la pm – per il datore di lavoro, come riconosciuto dallo stesso giudice, sottoporre i lavoratori, tra cui Paola Clemente, a visita medica preventiva in considerazione dei rischi connessi alla mansione dell’acinellatura”.
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