La Piazza della Scala a Milano è stata divisa in due durante l’anteprima del Don Carlo del 2023. Da un lato, una fila ordinata di giovani under 30 aspettava di entrare nel teatro, mentre dall’altro decine di studenti-lavoratori, dopo un anno di lavoro come maschere, si trovavano senza impiego.
Un manifesto esposto dal gruppo di giovani denunciava la precarietà della situazione, definendo la Scala “precaria, come il resto dell’Italia”. Questi giovani erano stati assunti nel 2022 con contratti intermittenti a chiamata, senza obbligo di risposta. Inizialmente, i contratti erano della durata di quattro mesi, ma erano stati rinnovati due volte: la prima per sei mesi e la seconda per due. Al termine dei 12 mesi, nessuna delle maschere aveva ricevuto una proposta di contratto che superasse l’anno di impiego.
La protesta delle maschere della Scala è stata organizzata per la prima volta da Beatrice Sella, che aveva appena terminato i suoi 12 mesi di lavoro. Nonostante il freddo pungente, si è unita agli ex colleghi in piazza della Scala per far sentire la sua voce. Il messaggio diretto alla dirigenza del teatro era chiaro: “La vostra eccellenza sul palco, senza la nostra dignità, non vale niente”.
Le giovani maschere chiedevano di poter sottoscrivere contratti che coprissero l’intero ciclo di studi, da 3 a 5 anni a seconda del tipo di laurea. Questo avrebbe permesso agli studenti di sostenersi economicamente senza l’aiuto dei genitori durante il loro percorso universitario. La portavoce delle maschere ha sottolineato che questa richiesta rappresentava il diritto allo studio e il diritto a un lavoro dignitoso. Nonostante la proposta fosse stata avanzata dalla Cgil alla dirigenza del teatro, i ragazzi denunciavano che le loro esigenze erano state ignorate.
Un altro problema sollevato dalle maschere riguardava il contratto intermittente a chiamata e senza obbligo di risposta. Questo tipo di contratto metteva in difficoltà sia i giovani sia il teatro stesso. Senza un obbligo di risposta, il teatro non aveva certezze sul numero di maschere presenti ogni sera. Di conseguenza, i superiori facevano pressione sulle maschere per ottenere una risposta, inviando mail o richiamandole, al fine di assicurarsi di avere abbastanza personale per aprire il teatro. Nonostante sulla carta le maschere potessero rifiutare la chiamata, nella realtà veniva loro fatta una pressione psicologica affinché rispondessero il più possibile. Questa situazione ha portato una ragazza a licenziarsi perché non riusciva più a sopportare la pressione.
La protesta delle maschere della Scala ha evidenziato le difficoltà e le ingiustizie che affrontano i giovani lavoratori nel settore culturale. La richiesta di contratti più stabili e di un lavoro dignitoso rappresenta una lotta per i loro diritti e per una maggiore sicurezza economica.
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