La nuova stretta sull’immigrazione in Italia si concentra sui Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), dove vengono trattenuti i migranti irregolari in attesa di essere rimpatriati. Il governo ha deciso di aumentare il limite massimo di detenzione da tre a sei mesi, prorogabili fino a dodici mesi, per un totale di diciotto mesi. L’obiettivo è anche quello di ampliare la rete dei Cpr, creando nuovi centri “in zone a bassissima densità abitativa e facilmente sorvegliabili”. Attualmente ci sono nove Cpr attivi in sette regioni italiane, con una capacità che va da 50 a 200 posti. La realizzazione dei nuovi centri comporterà un notevole costo e richiederà tempi brevi. Tuttavia, ci sono anche limiti non solo di natura economica, ma anche riguardo alle condizioni delle strutture e al trattamento dei migranti detenuti. Le organizzazioni per i diritti umani hanno più volte evidenziato la mancanza di tutele e garanzie all’interno dei Cpr, con il rischio di tensioni dovuto alla diversità di età e di provenienza dei detenuti. Inoltre, per rendere più efficace il rimpatrio, è necessario stringere accordi con i paesi di provenienza, che spesso rifiutano di riconoscere i propri cittadini irregolari. I dati relativi ai rimpatri mostrano una difficoltà oggettiva nel rimpatriare i migranti, con solo il 13,2% degli individui sottoposti a espulsione effettivamente rimpatriati nel 2020. Tale difficoltà rischia di compromettere anche il nuovo piano del governo. Al termine del trattenimento, i migranti vengono rilasciati con l’obbligo di lasciare il paese entro una settimana, ma spesso ciò non avviene, con molti migranti che tornano allo stesso centro o che si perdono di vista.