Vennero a prendermi a scuola e trovai a casa i colleghi e i compagni di papà: il ricordo indelebile di Marco Intravaia
Marco Intravaia, figlio del vicebrigadiere Domenico Intravaia, ucciso nella strage di Nassiriya vent’anni fa, ancora oggi ricorda con chiarezza quel terribile giorno. Mentre si trovava a scuola, ricevette la notizia di un attentato al contingente italiano. Chiamò subito a casa, ma non rispose sua madre. Fu un parente a dargli la terribile conferma di ciò che era accaduto. Da quel momento, la sua vita cambiò improvvisamente: si ritrovò adulto e consapevole che avrebbe dovuto prendersi cura di sua madre e sua sorella.
Da ragazzo spensierato ad adulto responsabile, Marco Intravaia ha dovuto affrontare le sfide della vita senza la presenza del padre. Il vuoto lasciato dalla sua assenza è ancora incolmabile. Tuttavia, l’esempio di suo padre, un uomo allegro, affettuoso e disponibile, continua a guidarlo. Domenico Intravaia amava il suo lavoro, la divisa e il servizio al suo Paese, con umiltà e senso del dovere.
Dopo la tragedia, Marco Intravaia pensò di arruolarsi, ma decise di non lasciare sua madre e sua sorella da sole. Tuttavia, ha scelto di servire la patria in un altro modo: attraverso la politica. Come parlamentare di FdI all’Assemblea regionale siciliana, vede la politica come un servizio concreto alla collettività, un modo per incarnare gli ideali e i valori per cui suo padre ha sacrificato la vita. Nonostante ciò, si sente ancora parte della grande famiglia dell’Arma, conservando dentro di sé la frase del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Gli alamari sono cuciti sulla pelle”.
Un appello per onorificenze e verità sulla strage
La strage di Nassiriya ha lasciato una ferita aperta nel cuore di Marco Intravaia. In particolare, gli brucia il fatto che 17 militari italiani, appartenenti all’Arma e all’Esercito, che facevano parte della missione ‘Antica Babilonia’, non abbiano ricevuto la medaglia d’oro al valore militare alla memoria. Questi uomini erano consapevoli dei rischi che correvano, ma sono rimasti sul posto per difendere i valori di pace, della bandiera e della Repubblica Italiana. Marco Intravaia considera questa mancata onorificenza come una ferita ancora aperta.
Ogni volta che uno dei nostri servitori dello Stato muore in una missione all’estero, Marco Intravaia prova un dolore rinnovato. Sebbene le missioni italiane internazionali siano volte a sostenere le popolazioni in difficoltà, sia dal punto di vista materiale che logistico, la presenza di guerre e persecuzioni continua a causare sofferenza, soprattutto tra donne e bambini. Marco Intravaia ammette di provare rabbia di fronte a questi fallimenti e sottolinea l’importanza di fare tutto il possibile per garantire la pace e la convivenza civile internazionale.
A distanza di vent’anni dalla strage, Marco Intravaia esprime la sua amarezza per la scarsa attenzione riservata a questo anniversario. Ritiene che un evento più significativo avrebbe dovuto essere organizzato per ricordare la base ‘Maestrale’ come la più grande strage di militari italiani dal dopoguerra. Insieme agli altri familiari delle vittime, lancia un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al premier Giorgia Meloni e al ministro della Difesa Guido Crosetto affinché sia concessa l’onorificenza. Inoltre, chiede che venga fatta luce sulle responsabilità dei vertici militari che ignorarono le informative dei servizi segreti riguardo ai rischi della missione. Marco Intravaia e tutti i familiari delle vittime hanno bisogno di verità sulla più grande strage di militari del dopoguerra, morti per assicurare sicurezza all’Occidente e per promuovere la pace e la convivenza civile internazionale.