Messina Denaro, il declino del boss tra le sbarre: una prospettiva sull’autunno del capo mafioso

A handout photo made available by Italy's Carabinieri shows a video frame of the Mafia boss Matteo Messina Denaro (C), Italy's most wanted man, being arrested in Palermo, Sicily, by the Carabinieri police's ROS unit after 30 years on the run in Palermo, Sicily island, Italy, 16 January 2023. ANSA/US CARABINIERI +++ NO SALES, EDITORIAL USE ONLY +++ NPK +++

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è entrato nel supercarcere dell’Aquila poche ore dopo il suo arresto. La Procura di Palermo ha subito richiesto e ottenuto per lui il regime carcerario 41 bis. Questo è accaduto il 16 gennaio, il giorno in cui è terminata la sua latitanza di trent’anni. Dopo il blitz dei carabinieri, che si è verificato poco prima che il capomafia si sottoponesse a una chemioterapia sotto falso nome in una clinica di Palermo, sono passati quasi nove mesi.

Durante il periodo di detenzione, Messina Denaro ha avuto una condotta impeccabile, come altri boss prima di lui. Ha trascorso il tempo leggendo, guardando poco la televisione e ricevendo cure in un’appendice di infermeria collegata alla sua cella. Inizialmente, l’ex latitante si è allenato attraverso le terapie e ha ricevuto visite e lettere dalla sua figlia naturale, Lorenza, riconosciuta solo pochi giorni prima della sua morte.

Quando è diventato evidente che il boss aveva poco tempo di vita, gli sono stati concessi incontri con i suoi familiari più intimi. Il peggioramento delle sue condizioni di salute e due interventi chirurgici hanno poi portato alla sospensione della chemioterapia e alla scelta di un trattamento del dolore. Messina Denaro non è più tornato in cella. Negli ultimi giorni, il boss è stato sedato su sua volontà e, in conformità al suo testamento biologico, gli sono state tolte le macchine che lo tenevano in vita, alla presenza del suo avvocato nominato tutore legale.

Durante la sua detenzione, l’ex latitante ha incontrato i magistrati tre volte, accettando di rispondere alle domande dei pubblici ministeri. Ha dichiarato di non pentirsi e ha ammesso solo ciò che non poteva negare, come il possesso della pistola trovata nel suo nascondiglio. Ha negato il suo coinvolgimento in Cosa Nostra, gli omicidi, in particolare quello del figlio del pentito rapito, strangolato e ucciso, le stragi e il traffico di droga. Ha detto che stava bene a casa sua, ribadendo che non avrebbe parlato dei suoi beni, tutti ancora da scoprire. Ha commentato sarcasticamente ai pubblici ministeri: “Se non mi fossi ammalato, non mi avreste preso”, spiegando che è stato il cancro a indebolirlo e a metterlo sulle loro tracce.

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