L’era di Matteo Messina Denaro segna la fine dei tempi più oscuri di Cosa Nostra, mettendo fine all’epoca delle stragi perpetrate dalla mafia. Messina Denaro era il successore designato di Totò Riina e Bernardo Provenzano, a cui era legato da una profonda connessione. Tuttavia, la mafia stava subendo una trasformazione: non era più un’organizzazione unitaria e verticale come descritta da Tommaso Buscetta, ma una federazione di gruppi con radicamenti territoriali.
Dopo l’arresto di Riina nel 1993, la cupola si era dissolta e Messina Denaro era rimasto come capo delle cosche trapanesi. Pur essendo un sostenitore fedele della “tradizione” rappresentata dal padre Francesco, morto da latitante nel 1998, il boss era anche un abile traghettatore, protagonista di un’evoluzione che cercava di abbandonare la violenza per dedicarsi agli affari.
Tuttavia, i cambiamenti hanno mantenuto intatta la “capacità di rigenerazione” di Cosa Nostra, come sottolineato dalla Commissione antimafia. L’organizzazione godeva ancora di un “ampio consenso sociale” e di una grande capacità di intimidazione. Provenzano aveva anticipato questo processo e Messina Denaro era stato un vero protagonista. Aveva superato le condanne per diverse stragi, tra cui quelle di Capaci e via D’Amelio, per gli eccidi del 1993 e per il brutale omicidio del giovane Giuseppe di Matteo. Tuttavia, quest’ultimo delitto pesava sulla sua coscienza e aveva ammesso di aver approvato il rapimento ma non l’uccisione del bambino.
Aveva esteso la sua influenza in settori economici e politici, gestendo la distribuzione delle risorse e l’assegnazione di appalti e incarichi ai suoi fedelissimi. Si era circondato di membri della “borghesia mafiosa”, come il geometra Andrea Bonafede e il medico Alfonso Tumbarello, che gli fornivano protezione. Nonostante la sua latitanza trentennale, Messina Denaro aveva trovato consolazione in una rete di amicizie e relazioni con donne, tra cui la maestra Laura Bonafede.
Tuttavia, la sua unica vera confidente era sua sorella Rosalia, conosciuta come Rosetta. Era lei che gestiva la cassa della famiglia e trasmetteva i “pizzini”, avendo il nome in codice di “Fragolone”. Ma alla fine si è rivelata il suo punto debole: tra i tanti messaggi custoditi come reliquie, ce n’era uno che descriveva la sua malattia oncologica. Questo ha portato all’indagine che ha condotto al suo arresto.
La fine di Messina Denaro rappresenta la fine di un capitolo oscuro. Viveva nel suo mito personale, circondato da immagini del Padrino e da oggetti che simboleggiavano un potere senza limiti e senza pietà. Ma alla fine ha dovuto soccombere a uno Stato che non riconosceva il suo manifesto politico sicilianista. Lascia questo mondo senza lasciare eredi riconosciuti, tutti vittime di confische e arresti che hanno messo fine al regno dell’ultimo padrino di Cosa Nostra.