La semifinale di Supercoppa italiana tra Inter e Atalanta, svoltasi all’Al-Awwal Park di Riad, ha messo in luce una situazione paradossale: solo 16 mila spettatori per un impianto capace di ospitarne 26 mila. Questa realtà, dai toni surreali, ha riacceso il dibattito sul perché la Serie A continui a disputare partite in Arabia Saudita, nonostante l’apparente disinteresse da parte del pubblico locale. Nonostante le polemiche, la Lega Serie A e i club coinvolti sembrano più concentrati sugli ingenti guadagni finanziari che sugli aspetti legati all’appeal del calcio italiano nel mondo.
L’Al-Awwal Park, uno stadio di nuova generazione, ha fatto da palcoscenico alla semifinale tra Inter e Atalanta in un clima surreale. All’inizio della partita, appena 4 mila spettatori si sono fatti sentire, un numero che ha raggiunto poco sopra i 16 mila nel corso del match, un chiaro segnale di indifferenza verso un evento di rilevanza internazionale. La partita si è svolta quasi in silenzio, eccezion fatta per i momenti di esultanza per i gol, una situazione sicuramente imbarazzante per la Lega e i club partecipanti.
Non si è trattato di un evento isolato; già nelle precedenti edizioni della Supercoppa il pubblico era stato scarso, ma con un impianto come l’Al-Awwal Park c’era l’aspettativa di un maggiore afflusso. Tuttavia, il tentativo di creare un’atmosfera vivace tramite tecniche di regia, come l’evitare inquadrature delle tribune vuote, non ha fatto molto per rimediare alla situazione. Le inquadrature dei pochi tifosi posizionati strategicamente, infatti, hanno messo in evidenza i vasti spazi non occupati, accentuando ulteriormente il senso di vuoto.
La Lega Serie A ha siglato nel 2018 un accordo pluriennale con l’Arabia Saudita, un’intesa che sta continuando a generare profitti significativi. Per il 2023, il montepremi complessivo è salito a 25 milioni di euro, una cifra che riflette l’interesse economico che gli eventi possono portare anche in contesti dove la partecipazione del pubblico è scarsa. Di questo importo, circa 16 milioni vengono distribuiti tra le quattro squadre partecipanti, con ciascuna semifinale perdente che riceve circa 2 milioni, mentre la squadra vincitrice potrà contare su 8 milioni.
Questo tipo di accordo determina ciò che fatalmente sembra prevalere: il profitto economico rispetto all’immagine del calcio italiano. La Supercoppa italiana, da un lato, deve affrontare critiche su quanto sembri perdere in reputazione a livello internazionale, dall’altro produce incassi che hanno un peso considerevole per le finanze della Lega e delle squadre. Numeri che possono giustificare la scelta di continuare a competere in mercati che mostrano un disinteresse diffuso per il prodotto.
L’andamento del match di giovedì 2 gennaio è stato indicativo di una cultura del tifo che non riesce a coinvolgere il pubblico arabo in egual misura rispetto a quello europeo. Le tribune mostrano frequentemente una rappresentazione desolante, come accaduto anche in precedenti edizioni, come nel caso di Napoli-Fiorentina, due squadre meno amate in questo contesto. La presenza di campioni nel campo, come l’Inter, non ha cambiato la situazione; i 4 mila spettatori iniziali non sono cresciuti nemmeno a fine partita, sottolineando la distanza tra il calcio italiano e il pubblico locale.
Un’analisi approfondita dei fattori in gioco suggerisce che, oltre ai prezzi accessibili dei biglietti, il pubblico arabo tende a preferire il comfort di guardare le partite da casa piuttosto che recarsi in stadio. In occasione di Inter-Atalanta, i biglietti variavano da un costo minimo di 23 euro fino a un massimo di 101 euro per le tribune centrali, una politica di prezzi che, pur competitiva, non ha attratto il pubblico desiderato. Questa realtà ha vacillato ulteriormente l’idea di un evento calcistico in un paesaggio completamente diverso, creando uno “spettacolo” che potrebbe sollevare ulteriori interrogativi su come e perché si continui a perseguire un accordo che sembra più vantaggioso economicamente che sportivamente.