Colleferro, 14 marzo 2025 – Oggi, la Corte di Assise di Appello ha emesso una sentenza che segna un momento cruciale e doloroso nella vicenda dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il giovane di ventun anni tragicamente ucciso durante un pestaggio il 6 settembre 2020. Marco Bianchi è stato condannato all’ergastolo, mentre il fratello Gabriele dovrà scontare 28 anni di carcere. Questa decisione arriva al termine di un lungo processo giudiziario, culminato nell’Appello Bis, dove la procura generale aveva chiesto la pena massima per entrambi gli imputati, senza concedere attenuanti.
La situazione ha avuto un nuovo sviluppo dopo che la Cassazione ha confermato la responsabilità penale per omicidio volontario, ordinando un nuovo processo per rivalutare le attenuanti generiche, inizialmente riconosciute ai fratelli Bianchi nel primo grado di Appello, dove le condanne erano state ridotte a 24 anni. Le pene per gli altri due imputati, Francesco Belleggia e Mario Pincarelli, sono già definitive: rispettivamente, 23 e 21 anni di reclusione.
Il dolore della famiglia di Willy
Dopo la lettura della sentenza, Lucia Monteiro Duarte, madre di Willy, ha manifestato il suo profondo dolore: “Le condanne non ci ridaranno Willy. Mi auguro che questi ragazzi comprendano il valore della vita e apprezzino di avere una famiglia che può ancora vederli e sentire la loro voce. A noi è rimasta solo una fotografia e il ricordo lontano della sua voce”. Le parole di Lucia si elevano come un grido di speranza e giustizia, ma anche di impotenza di fronte a una perdita incolmabile. Ha concluso il suo intervento esprimendo il desiderio che i fratelli Bianchi imparino a rispettare gli altri, affinché nessun’altra famiglia debba subire il dolore che ha vissuto lei e la sua.
Le dichiarazioni dei fratelli Bianchi
In aula, Marco e Gabriele Bianchi hanno cercato di difendersi, affermando di non essere “dei mostri”. Gabriele, presente all’ultima udienza del processo, ha dichiarato: “Sono stufo di essere definito per quello che non sono. Non vivevo di delitti, avevo una frutteria e mi svegliavo all’alba per lavorare. Siamo pronti a pagare per gli errori commessi, ma non ho mai colpito Willy”. La sua voce, carica di emozione, ha cercato di far comprendere il suo punto di vista: “Non posso confessare un crimine che non ho commesso. Sono addolorato per la morte di Willy e ho chiesto un incontro con la sua famiglia per poterli guardare negli occhi”.
Anche Marco, collegato dal carcere, ha espresso il suo rammarico: “Mi dispiace per il dolore che ho causato alla famiglia di Willy. Sono responsabile per il calcio al fianco, ma non quando era a terra. Non meritiamo questo odio mediatico, spero in una pena giusta”. Le loro parole, intrise di contraddizioni e tentativi di giustificazione, si scontrano con la gravità della situazione e il dolore della famiglia della vittima.
La sentenza di oggi rappresenta un passo significativo nel lungo cammino verso la giustizia per Willy Monteiro, ma solleva anche interrogativi su responsabilità, giustizia e il valore della vita umana.