Le difficoltà di X, il nuovo Twitter svuotato e strapazzato dalla gestione di Elon Musk, sono tali da fargli ammettere che può fallire. LinkedIn licenzia 700 dipendenti e Meta (Facebook) deve fare i conti con il calo della raccolta pubblicitaria e i mai risolti problemi di reputazione. E’ una questione di modello di business che non tiene, come per tutte le altre aziende. Ma c’è il rischio che per i social network stia per scoppiare una bolla simile ad altre bolle: sono cresciuti troppo, troppo rapidamente sull’onda di un consenso esponenziale, e ora non reggono più.
Il social network di proprietà di Microsoft ha annunciato il licenziamento di quasi 700 dipendenti. La maggior parte sono nell’area ingegneristica ma riguardano anche il settore finanza e risorse umane. E’ la seconda volta quest’anno che ricorre a tagli consistenti, a fronte di rallentamento del piano di assunzioni previsto. Perché sta riducendo il suo organico? Perché 20mila dipendenti sono diventati evidentemente troppi rispetto all’andamento di un mercato in cui si riduce la domanda, che per LinkedIn è essenzialmente legata alle applicazioni per cercare e offrire lavoro. La riduzione arriva a fronte di una frenata dei ricavi complessivi di Microsoft, con il ceo Satya Nadella impegnato a ridurre i costi in tutto il gruppo.
Elon Musk l’ha detto chiaramente, il 21 agosto scorso: X, ex Twitter, può fallire. “La triste verità è che non ci sono grandi social network al momento. Noi potremmo fallire, come molti hanno previsto, ma proveremo fino alla fine”. Le parole del patron di Tesla, che sono un’ammissione clamorosa, servono anche a ridimensionare responsabilità proprie, che sono evidenti e universalmente riconosciute, tirando in ballo le difficoltà dell’intero settore. La lista di cambiamenti apportati da quando ha rilevato la società, pagandola troppo, è lunga almeno quanto gli errori che sta accumulando. Dal rebranding, alle ipotesi di contenuti a pagamento, fino all’ultima modifica in ordine temporale, che elimina i titoli degli articoli di notizie condivisi, con una mossa che oltre a peggiorare ulteriormente il rapporto con i media tradizionali complica anche la fruizione dell’utente finale. Le accuse sulla disinformazione, ultime quelle della Commissione Ue sui contenuti legati alla guerra tra Israele e Hamas, fanno il resto. Il risultato è una precarietà che non fa prevedere un grande futuro.
Il principale problema di Meta è il calo della raccolta pubblicitaria. Gli anni dei grandi investimenti per le campagne sponsorizzate sono ormai lontani e le fonti di ricavo alternative, a partire dal business potenziale del Metaverso, faticano a sostituire i canali tradizionali. Senza dimenticare altri due fattori. Il problema mai realmente risolto della reputazione e il progressivo e inesorabile invecchiamento anagrafico del bacino di utenza, con i giovani che hanno definitivamente scelto altre piattaforme, prima Instagram e poi soprattutto Tiktok. (Di Fabio Insenga)
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