Il leader della Cgil, Landini, si trova in mezzo a una tempesta di critiche e polemiche provenienti da sinistra, nonché a sarcastiche bordate provenienti dalla destra. L’accusa è pesante: il sindacalista ha licenziato Massimo Gibelli, ex portavoce storico con 40 anni di servizio, che era stato braccio destro di Cofferati e addetto stampa della Cgil piemontese guidata da Fausto Bertinotti. Il licenziamento è stato effettuato con la motivazione di un “giustificato motivo oggettivo”, ma Gibelli ha impugnato la decisione. Da notare che questa decisione è coerente con la legge n. 604 del 1966, che è stata modificata più volte nel corso degli anni e che è stata fortemente contestata dal sindacato stesso. Ora, inaspettatamente, si assiste a un cambio di rotta e una serie di critiche. Spicca la voce di Teresa Bellanova, ex ministro, che attacca Landini dicendo che licenzia “come i padroni”. Bellanova critica sia la Cgil che il Pd di Elly Schlein, sottolineando che Landini avrebbe potuto utilizzare gli strumenti previsti dal jobs act per evitare un licenziamento così brusco, ma ha scelto di usare le stesse giustificazioni degli imprenditori che non innovano. Bellanova pone anche domande sul perché, nel caso di Gibelli, non sia stato utilizzato il trasferimento del lavoratore, previsto dal jobs act, da un settore in cui il personale deve essere ridotto a un altro, salvaguardandone il salario. Bellanova, che è passata dai ranghi bassi ai vertici del sindacato con costanza, è ancora iscritta alla Cgil e critica la burocratizzazione del sindacato, sostenendo che si stia perdendo il rapporto con il mondo reale e che i giovani non lo riconoscono più come interlocutore. Riguardo alla battaglia per il salario minimo, sostenuta da Landini, Conte e Schlein, Bellanova respinge questa strada, affermando che non è il cammino verso il futuro e che il sindacato sta creando un enorme rischio per i lavoratori.