Un’immagine può raccontare più di una storia. E questa immagine, scelta con consapevolezza dall’Adnkronos, è un grido di dolore. È il sangue di Giulia Cecchettin, ma è anche l’impronta di chi ha deciso di cancellarla. È la scelta di un uomo che si è arrogato il diritto di toglierle la vita, di minacciarla, di accoltellarla, di spingerla contro l’asfalto, di buttarla giù da un dirupo. Questa foto è stata fatta diventare un simbolo, un’impronta che si stampa sulle coscienze.
Prima di morire dissanguata, Giulia Cecchettin ha respirato la paura. La stessa paura che ha riempito i polmoni di Giulia Tramontano, Chiara Poggi, Alessandra Matteuzzi, Chiara Gualzetti e di tante altre donne. Non possiamo dimenticare i loro nomi, anche se la lista delle vittime è lunga e purtroppo continua ad allungarsi. Sono già 106 donne uccise quest’anno, e c’è il timore che il numero possa ancora crescere.
Giulia è stata uccisa da un uomo. Non possiamo definirlo un mostro o un folle, né possiamo dire che l’abbia fatto per amore. Nei femminicidi non c’è spazio per l’amore. È stato necessario usare una spazzola e della candeggina per cercare di cancellare l’impronta di Giulia, ma per coloro che vogliono che questa storia non sia solo una cronaca passeggera o una sterile polemica politica, quella traccia di sangue che ha resistito sull’asfalto per dieci giorni prima di essere lavata via con dell’acqua da un operaio, è ancora lì, indelebile.
(di Antonietta Ferrante)
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