Il 20 aprile 2013, dopo le elezioni politiche che non avevano determinato una chiara vittoria per nessuna delle coalizioni, il neo-eletto Parlamento chiese a Giorgio Napolitano di essere rieletto come presidente della Repubblica. Napolitano accettò e venne riconfermato alla carica alla sesta votazione. Questa rielezione fu storica, in quanto Napolitano divenne il primo presidente italiano a essere eletto per un secondo mandato e il più anziano presidente nella storia del paese.
Il 22 aprile, Napolitano presentò le dimissioni dal suo primo mandato, avviato il 15 maggio 2006. Di conseguenza, lo stendardo presidenziale sul Palazzo del Quirinale venne temporaneamente ammainato. Alle 17 dello stesso giorno, prestò giuramento come presidente rieletto e pronunciò un discorso davanti al Parlamento in seduta comune. La cerimonia di insediamento fu più sobria rispetto alla precedente.
Durante il suo discorso, Napolitano criticò i partiti politici e richiamò le forze politiche che non erano state in grado di trovare un successore al Quirinale. Condannò le contrapposizioni, le lentezze e le esitazioni nella presa di decisioni, così come i calcoli di convenienza, i tatticismi e gli strumentalismi. Criticò anche il populismo che ha sfruttato l’insoddisfazione e la protesta antipolitica, alimentate da campagne di opinione che denigrano il mondo politico e le istituzioni.
Successivamente, in un’intervista con Eugenio Scalfari, Napolitano dichiarò di essere stato quasi costretto ad accettare una rielezione come presidente a causa della sua profonda convinzione che era il momento di lasciare la carica. Nonostante ciò, accettò per preservare la continuità istituzionale.
Il 23 aprile, Napolitano iniziò le consultazioni per la formazione di un nuovo governo e il giorno successivo incaricò Enrico Letta di formare un esecutivo, che sarebbe diventato il primo “governo di larghe intese” nella storia repubblicana.