Il misto di investimenti vaticani sotto esame: il caso del palazzo di Sloane Avenue

Indagini sulla gestione finanziaria della Segreteria di Stato vaticana rivelano investimenti rischiosi e controversi, sollevando interrogativi su trasparenza e integrità nella Chiesa. Il caso del Palazzo di Sloane Avenue è emblematico.
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La complessità della gestione finanziaria della Segreteria di Stato vaticana è al centro delle indagini riguardo a un investimento controverso effettuato nel quasi decennio scorso. Oggi, è disponibile un estratto di ‘Il trono e l’altare’ pubblicato da Cantagalli, un’opera che esplora la storia di investimenti avventurosi da parte della Chiesa, rivelando un drammatico passaggio di fondi e strategie corrispondenti a iniziative finanziarie ad alto rischio. L’articolo seguirà passo dopo passo i dettagli e gli sviluppi di questo caso inedito, dove religione e finanza si intrecciano in modi preoccupanti.

Le origini del caso: il processo Sloane Avenue

La requisitoria del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, avvenuta il 29 luglio 2023 e riguardante il processo noto come “Sloane Avenue”, ha riacceso i riflettori sui fondi gestiti dalla Segreteria di Stato vaticana. Già nell’ottobre 2012 si ebbe la sensazione che enormi somme di denaro, gestite direttamente dalla Curia, venissero movimentate in modi poco trasparenti. Un’istruzione specifica venne data all’amministratore Enrico Crasso del Credit Suisse, riguardante il trasferimento dei capitali verso veicoli esterni, con la possibilità di “schermarli” di fronte a potenziali controlli.

In questo contesto, emerge la figura dell’arcivescovo Angelo Becciu, allora sostituto per gli Affari Generali, che vedeva l’opportunità di investire nell’industria petrolifera attraverso l’acquisto di azioni nella Falcon Oil, un’impresa diretta dal suo amico Antonio Mosquito. Il carattere speculativo di tale iniziativa fu messo in evidenza da Diddi, che ha frequentemente sottolineato la natura rischiosa e sfuggente di questi investimenti.

Nel gennaio 2013 nasce quindi il fondo Athena, che avrebbe fatto notizia per le sue relazioni con i finanziamenti della Terza Loggia. Questa Sicav ebbe come obiettivo la gestione dei patrimoni raccolti da Mincione, segnando l’inizio di una serie di operazioni che sarebbero suscitate clamore nei mesi successivi. Le fasi salienti di questo processo finanziario iniziarono a disvelarsi con una forte pressione per ottenere i ritorni sugli investimenti, segnando un’evidente frattura nelle tradizionali prassi di gestione vigenti in Vaticano.

La transizione di potere e le manovre finanziarie

Le tempistiche indicano un periodo cruciale coincidente sia con la fine del pontificato di Benedetto XVI, sia con l’inizio del pontificato di Francesco. Diddi spiega che gli investimenti, già predisposti per il fondo Athena, tendevano a isolare i capitali da potenziali scrutinatori. La progettualità di Becciu di canalizzare circa 200 milioni nei nuovi fondi cominciò ad emergere attraverso comunicazioni interne che documentavano l’avanzamento delle pratiche.

L’elezione di Papa Francesco avvenne il 13 marzo 2013 e giunse in un momento in cui le voci circa una necessaria riforma finanziaria si facevano sempre più pressanti. Diddi riporta gli sviluppi con una cadenza quasi meticolosa, spiegando che già il 1° febbraio 2013 un aggiornamento sulla questione finanziaria fu consegnato a Becciu dal funzionario Fabrizio Tirabassi, confermando la creazione del Fondo Athena. La rapidità con cui furono intraprese queste azioni suggerisce una strategia ben pianificata per deviare i fondi in una fase di significativa transizione.

Il 23 febbraio dello stesso anno, il consulente Crasso sollecitò la formalizzazione del trasferimento, che avvenne a pochi giorni dalla fine del pontificato di Benedetto XVI. Contemporaneamente si delineavano i contorni di un potenziale intervento del nuovo Papa, fortemente atteso da una comunità ecclesiale preoccupata per le ricchezze accumulate dalla Chiesa. La storicizzazione dell’operazione finanziaria fu accelerata con il primo trasferimento di fondi nel 2013, incidendo profondamente sulle casse della Segreteria di Stato.

Una gestione controversa delle finanze

Le decisioni finanziarie avvenute tra maggio e luglio 2013 portarono a scambi frenetici di e-mail atte ad ottenere crediti necessari per garantire le operazioni di investimento. Come riportato dal Promotore aggiunto Gianluca Perone, a fine novembre 2023, ben 670 milioni di euro della Segreteria di Stato erano stati “bloccati” per garantire operazioni speculative a favore dei fondi di Crasso e Mincione.

La gestione dei fondi da parte della Segreteria di Stato ha sollevato interrogativi non solo per l’entità dei capitali impiegati, ma anche per la singolarità delle forme legali usate nei contratti. Il patrimonio della Segreteria, infatti, era stato sottoposto a scelte che non avevano precedenti, creando un deficit strutturale che metteva a repentaglio i beni della Chiesa. La classificazione dei titoli, che erano stati definiti “spazzatura”, contribuisce a delineare un quadro di grande ansia e inquietudine.

I mutui accesi dalla Segreteria per l’acquisto del Palazzo di Sloane Avenue sollevano questioni etiche nel governo delle finanze ecclesiastiche. In particolare, la natura altamente rischiosa degli investimenti attuati parrebbe deviare nettamente dal compito di salvaguardare le risorse della Chiesa. Si registrano dati allarmanti sulla concentrazione del patrimonio investito in strumenti illiquidi e estremamente speculativi, il che comporta il rischio di un crac finanziario da cui sarebbe difficile recuperare.

L’epilogo della questione

Il caso del Palazzo di Sloane Avenue, che ha infestato la storia recente della Segreteria di Stato, si è sviluppato dal 2012 fino al 2019, quando la Chiesa riuscì a ritornare in possesso dell’immobile, pagando oltre 15 milioni di euro a Gianluigi Torzi. Le operazioni di mutuo e garanzia bloccavano miliardi di euro di donazioni destinate a scopi caritatevoli e missionari, richieste da una Curia intentata a navigare in acque insidiose.

Questa crisi, la cui origine è ben documentata e la cui evoluzione continua a destare scalpore, mette in discussione le misure di gestione finanziaria adottate da un’istituzione con una lunga tradizione di integrità. La combinazione di pressioni interne e scelte di investimento audaci ha senza dubbio rivelato vulnerabilità significative nel sistema, richiamando l’attenzione non solo dei legislatori, ma anche di una comunità di fedeli sempre più scettica riguardo alla trasparenza e alla governance dei patrimoni ecclesiastici.