Il governo italiano risponde alla sentenza del tribunale di Roma con un nuovo decreto sui paesi sicuri

Il governo italiano approva un decreto sui paesi sicuri per riorganizzare il sistema di accoglienza e rimpatrio dei migranti, affrontando le criticità legali e cercando stabilità nelle politiche migratorie.
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La recente approvazione del decreto sui paesi sicuri da parte del Consiglio dei Ministri ha rappresentato un passo significativo per il governo italiano, volto a superare la crisi innescata dalla sentenza del Tribunale di Roma. La decisione, considerata cruciale, mira a rimettere in ordine il sistema di accoglienza e rimpatrio dei migranti, specialmente in relazione al Memorandum firmato con l’Albania. Con l’adozione di una norma primaria che stabilisce una lista di paesi considerati sicuri, l’esecutivo italiano ha manifestato la ferma intenzione di risolvere l’impasse creatasi, nonostante le incertezze legali che ancora circondano la questione.

Il decreto sui paesi sicuri: un passo necessario

Martedì scorso, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha fatto il punto sulla situazione nella conferenza stampa post Cdm, sottolineando l’importanza di aver fatto un passo decisivo per risolvere una crisi che minacciava di paralizzare le attività degli hotspot in Albania. I centri di accoglienza a Shengjin e Gjader, infatti, erano in una situazione precaria a causa delle recenti decisioni giudiziarie. Mantovano ha affermato che non ci sono piani alternativi, ripetendo che l’approvazione del decreto rappresenta l’unica via percorribile. Ha enfatizzato che ora le responsabilità sono chiare: è compito di una legge dello Stato decidere quali paesi rientrano nella categoria di quelli ritenuti sicuri.

La legittimità della decisione è stata sostenuta da fonti governative, secondo le quali le criticità legate alla lista di paesi sicuri non dovrebbero essere più oggetto di discussione. Il messaggio del governo è chiaro: la nuova norma deve garantire un’operatività fluida del sistema di gestione dei migranti, evitando che le incognite legali possano ostacolare la realizzazione delle politiche già avviate.

Le preoccupazioni per un possibile nuovo blocco giudiziario

Nonostante l’ottimismo ostentato dal governo, emergono preoccupazioni nei corridoi di Palazzo Chigi riguardo a possibili sviluppi futuri che potrebbero rimettere in discussione il nuovo decreto. Le esperienze passate, contraddistinte da blocchi giuridici, hanno lasciato un segno indelebile nel dibattito sulle politiche migratorie italiane. Alcuni funzionari esprimono scetticismo su come il decreto potrà resistere a eventuali contestazioni legali, data la recente storia di sentenze che hanno messo in crisi il sistema di rimpatri e di gestione dei richiedenti asilo.

Al momento, il governo ha escluso l’ipotesi di tornare sui propri passi, nonostante sia stata considerata l’idea di avvalersi di una struttura della Farnesina per gestire la lista di paesi sicuri. Le risorse e le energie sono dirette verso l’attuazione del decreto presente, con l’auspicio che esso riesca a stabilizzare il quadro normativo attorno alle politiche migratorie.

Il Viminale contro le sentenze del tribunale di Roma

Parallelamente, il Ministero dell’Interno ha avviato un ricorso in Cassazione contro le recenti sentenze del Tribunale di Roma, che hanno messo in discussione la validità dei fermi dei migranti trasferiti a Bari. Il Viminale ha intenzione di rivolgersi a tutte le istanze legali disponibili per rivendicare la legittimità delle proprie operazioni e per cercare di evitare che si verifichino nuovi fermi non convalidati.

Questa posizione del governo è vista come un tentativo di affermare il proprio controllo sulla situazione e di prevenire l’involuzione della gestione dei migranti in una crisi continua. Il sottosegretario Mantovano ha dichiarato che il ricorso è essenziale per salvaguardare le scelte operate dal governo e affermare che la decisione di considerare alcuni paesi come sicuri deve essere rispettata e applicata.

Il dibattito sulle politiche migratorie in Italia si fa sempre più acceso, ma il governo sembra determinato a mantenere il timone, gettando le basi per un futuro più chiaro e strutturato.