“Il Gattopardo”, capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ha segnato la storia della letteratura italiana diventando il primo bestseller del paese, con vendite straordinarie già al momento della sua pubblicazione. La sua trasposizione cinematografica, diretta da Luchino Visconti, ha sollevato interrogativi e controversie, rendendo questo classico un oggetto di studio profondo. In questo articolo, analizzando le riflessioni di Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice nel loro libro “Operazione Gattopardo”, si esplorerà il contesto culturale e ideologico che ha influenzato sia il romanzo sia il film, insieme alle controversie che li circondano.
Il romanzo “Il Gattopardo” è un’opera postuma di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato per la prima volta nel 1958 da Giangiacomo Feltrinelli. Nonostante il suo successo, l’opera si trovò inizialmente a fronteggiare un’ostilità significativa da parte di una parte della critica, in particolare quella di sinistra. Questo atteggiamento di rigetto era in parte dovuto alla posizione aristocratica dell’autore e ai contenuti considerati conservatori espressi nel testo.
Con il tempo, però, “Il Gattopardo” si è elevato al rango di prestigiosa opera letteraria, tanto da diventare oggetto di analisi e reinterpretazioni. L’importanza del romanzo non è solo nel suo contenuto, ma anche nel contesto storico in cui è ambientato – la fine del Regno delle Due Sicilie e l’unificazione italiana. In questo scenario tumultuoso, il protagonista don Fabrizio Salina rappresenta la nobiltà siciliana in crisi, mostrando la propria disillusione nei confronti delle trasformazioni politiche e sociali.
Anile e Giannice, nel loro libro, descrivono dettagliatamente i tempi della realizzazione del romanzo. Da un’opera inizialmente critica nei confronti del Risorgimento a un modo di vedere la storia che riflette la complessità delle relazioni umane e delle scelte politiche, il romanzo di Lampedusa si è conquistato un posto di rilievo nella narrativa mondiale. Nonostante le critiche iniziali, il tipo di narrazione e la ricchezza dei personaggi hanno poi permesso a “Il Gattopardo” di conquistare una vasta platea di lettori.
La trasposizione cinematografica de “Il Gattopardo”, diretta da Luchino Visconti e uscita nel 1963, ha inevitabilmente suscitato interrogativi riguardo alla fedeltà rispetto al romanzo. Anile e Giannice evidenziano che il film ha subito un processo di adattamento che ha comportato delle modifiche sostanziali. A differenza di quanto si potrebbe pensare, Visconti non si è solamente limitato a trasporre la narrazione sullo schermo, ma ha reinterpretato e, in alcuni casi, stravolto il messaggio originale.
Visconti, noto per le sue posizioni politiche di sinistra, si trovò di fronte alla sfida di adattare un romanzo che, pur se considerato “di destra” per via della sua aristocrazia, conteneva una forte critica nei confronti della nuova Italia. Il regista, quindi, non solo dovette elaborare una sceneggiatura che fosse coerente, ma dovette anche farsi carico delle polemiche dell’epoca. Nel film, la rappresentazione di alcuni personaggi, come don Calogero e Tancredi, fu trasformata per riflettere una visione più politicamente critica rispetto alla realtà che il romanzo descriveva.
Visconti si avvalse anche di elementi tratti dalla letteratura, attingendo da autori come Giovanni Verga, cercando, però, di bilanciare la tradizione con le sue convinzioni personali. Questa operazione, tuttavia, portò a manovre narrative che modificarono l’essenza dei personaggi e delle relazioni tra di essi, dando vita a un’opera che, pur avendo riscosso grande successo, ha sollevato dubbi circa la sua aderenza ai temi originali del romanzo.
Uno degli aspetti più discussi della trasposizione cinematografica è il taglio dell’ultimo capitolo del romanzo. Anile e Giannice sottolineano come questo sia particolarmente significativo per comprendere a pieno le dinamiche della storia e la visione critica di Lampedusa. Il finale, infatti, fornisce un’importante riflessione sul Risorgimento e sulla condizione della nobiltà, gettando una luce sui temi dell’ambiguità e della trasformazione.
Il concetto di “trasformismo” espresso nella celebre frase “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” permette di cogliere l’analisi profonda che Lampedusa fa della storia italiana e delle sue contraddizioni. L’omissione di questo capitolo nel film rappresenta, quindi, un’importante lacuna che ne altera la lettura complessiva. Visconti affrontò i tagli non solo per questioni di tempo ma anche per ragioni ideologiche; si è temuto che il messaggio fosse troppo radicale o critico nei riguardi della nascenti istituzioni dell’Italia unita.
Nel corso della realizzazione del film, alcune scene, considerate “troppo ideologiche”, furono eliminate, facendo di “Il Gattopardo” un prodotto più digeribile per il pubblico e per le circolari politiche dell’epoca. Alcuni frammenti, per esempio, mostrano don Fabrizio in preda agli incubi della cattiva coscienza, una scena che riemerse poco prima della nuova edizione del libro di Anile e Giannice.
La relazione tra Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Luchino Visconti si rivela complessa e stratificata. Entrambi, aristocratici e profondamente legati alla loro terra d’origine, rispondono a un’epoca di transizione storica ma differiscono sostanzialmente nelle loro visioni. Lampedusa critica apertamente un’unificazione superficiale e debolmente realizzata, dimostrando coraggio nel mettere in discussione non solo il passato ma anche il suo stesso status sociale; al contrario, Visconti tende a rifugiarsi in una nostalgia per un passato che non può ripetersi, rischiando di snaturare il messaggio innovatore del romanzo.
Questa divergenza fa emergere una certa ambiguità nel rapporto tra l’autore e il regista, che, pur condividendo un background aristocratico, si posizionano in modo diverso di fronte al cambiamento e alla storia. Anile e Giannice suggeriscono che potremmo considerare il romanzo di Lampedusa come intrinsecamente più “di sinistra” e critico rispetto al film di Visconti, che, pur cercando di mantenere una robusta eredità culturale, finisce per rifugiarsi in una visione nostalgica priva di quella incisività critica presente nel testo originale.
Il legame tra queste due opere rimane un tema fertile di analisi e reinterpretazione, con le domande che continuano a emergere su cosa significhi veramente conservare l’essenza di un grande opera attraverso un mezzo diverso.
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