Giorgio Napolitano non ha mai goduto della simpatia di Marco Travaglio, il direttore del Fatto Quotidiano. E dopo la sua morte, Travaglio non ha cambiato idea. In un lungo editoriale, il giornalista ripercorre la carriera politica di Napolitano, sostenendo che questo abbia ricoperto tutti i ruoli più importanti della vita pubblica italiana, senza mai aver successo. Secondo Travaglio, Napolitano era un fascista durante la Seconda Guerra Mondiale, e in seguito un comunista che elogiava l’Armata Rossa che soffocò la rivolta di Budapest nel sangue nel 1956. Durante il periodo Pci, partecipò all’espulsione dei dissidenti del Manifesto, critici riguardo all’invasione della Cecoslovacchia. In seguito, divenne il “comunista preferito” sia di Kissinger che della Fininvest. Travaglio sostiene che Napolitano sia stato la difesa dei poteri forti contro le minacce all’ordine costituito. Durante la sua presidenza della Camera, si schierò a fianco degli impuniti coinvolti in Tangentopoli. Durante il suo primo mandato al Quirinale, dichiarò guerra ai magistrati che indagavano sul potere. Travaglio critica inoltre le strette di mano tra Napolitano e Berlusconi, e sostiene che una delle sue missioni fondamentali fosse collaborare con il centrosinistra e l’avversario storico. Travaglio accusa Napolitano di scaricare Berlusconi solo quando l’establishment nazionale e internazionale lo fecero. Travaglio sostiene inoltre che Napolitano creò un governo Letta con partiti che avevano perso le elezioni, per tenere fuori chi le aveva vinte. Infine, Travaglio critica Napolitano per aver bruciato i leader del suo partito di riferimento, il Pd, tra cui Walter Veltroni e Matteo Renzi. Sembra che Napolitano abbia imposto a Renzi la sua fissazione per la riforma costituzionale, secondo Travaglio. Questo segna la fine della stagione di successi politici per Renzi.