Negli Stati Uniti, 29 dei 50 Stati hanno recentemente accusato Meta, la società madre di Facebook, Instagram, Whatsapp e Messenger, di aver creato funzionalità che manipolano i comportamenti dei giovani, in particolare adolescenti e bambini. Questa accusa non è nuova, ma ciò che la rende peculiare è la chiarezza del messaggio: i social media possono influenzare profondamente gli utenti, soprattutto quelli più vulnerabili. I gestori delle piattaforme, compresa Meta, sono ben consapevoli di questo problema da molto tempo.
Un esempio è uno studio condotto da Facebook nel 2012 in collaborazione con l’Università Cornell e l’Università di San Francisco. Lo studio coinvolse 700.000 utenti per comprendere se l’esposizione a contenuti emotivi potesse influenzare le esperienze verbali degli utenti. In altre parole, se ciò che leggiamo sui social media può contagiare le nostre emozioni. Secondo lo studio, gli utenti esposti a contenuti positivi reagiscono in modo positivo, mentre quelli esposti a contenuti depressivi sono più inclini a entrare in uno stato depressivo. Le emozioni positive e negative tendono a propagarsi di conseguenza.
In Italia, il Rapporto del Censis del 2020 ha dedicato un capitolo all’influenza dei nuovi media sull’umore degli italiani, giungendo a conclusioni simili allo studio di Facebook. Questi sono solo due esempi significativi, ma numerosi altri studi confermano la capacità dei social media di influenzare i comportamenti.
La questione principale è cosa fare riguardo a questa influenza dei social media. I procuratori dei 29 Stati americani hanno scelto di portare la questione in tribunale, ma non è detto che sia la soluzione più diretta ed efficace. Potrebbe essere utile imporre un costo di accesso ai social media, come ha fatto Elon Musk su Twitter, per impedire un uso compulsivo e dannoso da parte dei giovani e delle persone vulnerabili. Tuttavia, questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto spontaneamente dal mercato, poiché sarebbe difficile da ottenere tramite leggi o ordinanze giudiziarie.
Segnalo due libri in lingua inglese che potrebbero interessare molti italiani: “Ian Fleming. The complete man” di Nicholas Shakespeare e “Bob Dylan: Mixing up the Medicine” di Mark Davidson e Parker Fishel.
Il primo libro, di 864 pagine, racconta la vita di Ian Fleming, il creatore di James Bond, e come la sua vita abbia influenzato i 14 libri in cui Bond è il protagonista. Il libro esplora soprattutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando Fleming fu coinvolto in missioni segrete oltre le linee nemiche. Il ritratto di Fleming non è particolarmente affascinante, presentandolo come un uomo concentrato su se stesso, donnaiolo e con tratti misogini. Tuttavia, è difficile credere che un personaggio misogino possa avere un successo mondiale duraturo come Bond ha avuto per oltre 60 anni.
Il secondo libro, di 608 pagine, è una versione portatile del “Bob Dylan Center & Archive” di Tulsa, Oklahoma. Contiene oltre 1.100 immagini e memorabilia di Bob Dylan, oltre a più di 30 saggi originali di grandi artisti e scrittori che raccontano la sua storia. Il libro include anche le lettere di Dylan con i suoi contemporanei, come i Beatles, e i testi delle sue ultime canzoni. Nonostante i suoi 82 anni, Dylan continua a fare concerti in tutto il mondo. Mentre gli Stones hanno appena pubblicato un nuovo album e i Beatles, grazie all’intelligenza artificiale, hanno lanciato una nuova canzone, sembra di essere tornati negli anni ’60, magie della musica.
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