La nuova serie ‘Acab’, che debutterà su Netflix il 15 gennaio, riprende le fila del discusso film uscito tredici anni fa. Diretto da Michele Alhaique, il progetto si ispira al libro di Carlo Bonini, riproponendo i “tre celerini bastardi” in un contesto attuale segnato da tensioni sociali e conflitti tra forze dell’ordine e cittadini. Con una narrazione che ci catapulta in drammi metropolitani profondi e attuali, la serie si propone di trattare temi complessi e di grande rilevanza in un contesto storico e sociale in continua evoluzione.
La storia si apre in una notte di scontro nella Val di Susa, dove il Reparto Mobile di Roma è colpito dalla grave ferita del suo capo. I protagonisti Mazinga, Marta e Salvatore, interpretati rispettivamente da Marco Giallini, Valentina Bellè e Pierluigi Gigante, non sono semplici agenti di polizia. La loro squadra è caratterizzata da legami che vanno oltre il professionale, a testimonianza di un affiatamento che ricorda una sorta di tribù. L’incontro tra le loro esperienze personali e le difficoltà lavorative dipinge un quadro che attraversa le dinamiche di un mestiere complicato da affrontare sul campo, in un contesto di crescente tensione sociale.
Questa serie è quindi più di una semplice narrazione di eventi accaduti. Essa esplora i confini tra ordine e caos, mettendo in discussione la natura del lavoro delle forze dell’ordine e il trattamento che ricevono da parte della società. Proseguendo in un filone di riflessione, ‘Acab’ non propone solo una storia avvincente, ma invita anche gli spettatori a interrogarsi su ciò che accade realmente dietro ad ogni operazione di sicurezza pubblica.
La scelta di rinnovare ‘Acab’ in formato serie trova le sue radici in una necessità di affrontare il tema della giustizia e della paura, un argomento di grande attualità a fronte di eventi recenti che hanno visto la morte di Ramy Elgaml durante un inseguimento con le forze dell’ordine a Milano. Questo contesto di attualità viene sottolineato dalla vicepresidente dei contenuti italiani di Netflix, Tinny Andreatta, che indica l’urgenza della narrazione. La serie si sviluppa in sei episodi, ciascuno dei quali si concentra su dinamiche e realtà che mostrano l’evoluzione della polizia italiana, dall’approccio alle manifestazioni fino all’importanza crescente della formazione e del rispetto dei diritti civili.
L’autenticità del racconto deriva dalle esperienze notarili raccolte da Bonini, che pone l’accento sulla necessità di comprendere i dilemmi morali che i poliziotti devono affrontare. In scenari complessi e ad alta tensione, dove ogni decisione dev’essere presa in pochi secondi e spesso sotto stress, balza all’occhio l’importanza di un’adeguata preparazione psicologica. Le novità in termini di protocollo e tecnologia, come l’introduzione delle body cam, rappresentano tentativi concreti di migliorare la trasparenza nel lavoro quotidiano degli agenti e un passo verso una maggiore responsabilità nel settore.
Stefano Sollima, produttore esecutivo della serie, torna a riflettere sull’esperienza che ha condiviso con la prima pellicola. L’intento è di tratteggiare un racconto che non si limita a giudicare l’operato, ma che invita a una riflessione profonda sul panorama complesso delle forze dell’ordine e sulla loro interazione con la società. L’approccio narrativo si propone di portare il pubblico a una comprensione più sfumata, evitando schemi rigidi e prematuramente escludenti.
In un’epoca in cui il conflitto tra ordine e disordine è sempre in evidenza, la reinterpretazione di ‘Acab’ si fa carico di scavare più a fondo in dinamiche umane e sociali per rivelare il contesto in cui si muovono questi protagonisti. L’interazione tra le forze dell’ordine e la collettività, con tutte le sue tensioni e sfide, è il cuore pulsante di questa nuova serie, e il pubblico potrà aspettarsi un viaggio intenso verso una comprensione più profonda di una realtà che ci tocca da vicino.