La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che stabilisce che nella valutazione di un salario minimo legale non si può prendere come riferimento la retribuzione lorda, in quanto non rappresenta un importo interamente spendibile da un lavoratore. La decisione riguarda il caso di otto vigilantes impiegati come receptionist negli appalti di Snam e assunti nel 2018 dal gruppo Sicuritalia. I lavoratori avevano accusato l’azienda di aver violato l’articolo 36 della Costituzione, che garantisce il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto.
Inizialmente, i lavoratori avevano vinto in primo grado, ma successivamente la corte di Appello di Milano aveva dato loro torto, sostenendo che il loro stipendio mensile lordo superava la soglia di povertà fissata dall’Istat. La Corte di Cassazione ha riformato la sentenza di appello, sostenendo che l’indice di povertà Istat riguarda la capacità di acquisto immediata di beni essenziali, mentre la retribuzione lorda non rappresenta un importo interamente spendibile da un lavoratore.
Nel frattempo, anche il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) si è occupato del salario minimo, approvando un documento tecnico sul lavoro povero e il salario minimo. Il documento fornisce indicazioni sulla direttiva Ue per l’introduzione di un salario minimo legale e sul tasso di copertura della contrattazione collettiva. La Cgil ha espresso critiche nei confronti del documento e ha votato contro la sua approvazione.
Il presidente della commissione Lavoro Walter Rizzetto ha dichiarato che si stanno valutando delle proposte di maggioranza per il salario minimo, ma che non sarà semplicemente il salario minimo garantito. La decisione del governo sarà presa sulla base dei rilievi forniti dal Cnel. Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha criticato questa posizione, sostenendo che il governo deve assumersi la responsabilità di definire il salario minimo anziché scaricarla sul Cnel.