Negli ultimi anni, le terapie intensive stanno subendo trasformazioni significative nel modo in cui i pazienti vengono trattati, non solo in Italia ma a livello globale. L’approccio tradizionale basato su sedativi potenti è stato rivisto alla luce di nuove evidenze che dimostrano gli effetti collaterali di queste sostanze. Oggi, l’obiettivo è mantenere i pazienti il più attivi possibile, sia fisicamente che mentalmente. Questa evoluzione implica un maggiore coinvolgimento delle famiglie, che possono svolgere un ruolo cruciale nel supportare i propri cari durante la degenza in terapia intensiva.
Secondo Nicola Latronico, direttore del Dipartimento Emergenza-Urgenza presso gli Spedali Civili di Brescia e professore di Anestesia e Terapia Intensiva all’Università degli Studi di Brescia, questi cambiamenti sono stati al centro del dibattito durante il 78esimo congresso della Società Italiana di Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e Terapia del Dolore a Napoli. Latronico sottolinea la necessità di tenere i pazienti svegli e minimamente sedati, per affrontare due problematiche principali: il delirium e la perdita di massa muscolare.
Il delirium, una condizione psicologica che colpisce un’ampia percentuale dei pazienti in terapia intensiva, si presenta con un’incidenza che varia dal 30% al 70% negli individui sottoposti a ventilazione artificiale. Questa condizione è spesso caratterizzata da disorientamento e mancanza di attenzione verso l’ambiente circostante. Fortunatamente, il delirium è tipicamente una fase transitoria, sebbene possa comportare effetti collaterali a lungo termine, inclusi rischi aumentati di demenza. La presenza dei familiari diventa quindi fondamentale nel prevenire e contenere tali complicanze.
Latronico evidenzia che il coinvolgimento diretto delle famiglie non è solo una questione di supporto emotivo, ma un’attività concreta che favorisce la ricostruzione del vissuto del paziente. Questo legame affettivo ha la potenzialità di ridurre l’incidenza del delirium e di migliorare la qualità della cura. Infatti, i familiari possono aiutare a mantenere il paziente connesso alla realtà e al suo contesto, contribuendo a una guarigione più rapida e meno complicazioni.
Le emergenze familiari in terapia intensiva non devono essere sottovalutate; la loro presenza è stata integrata più frequentemente nel modello terapeutico, portando a un approccio più olistico e centrato sul paziente. La capacità delle famiglie di interagire e comunicare con i medici e gli infermieri può fare la differenza nella gestione complessiva del paziente. In questo contesto, risulta cruciale stabilire protocolli che incoraggino la partecipazione attiva dei familiari, per garantire che ogni paziente possa ricevere una cura personalizzata e adeguata.
Un altro aspetto da considerare è la perdita di massa muscolare, che affligge circa il 25% dei pazienti in terapia intensiva. Questa condizione è fortemente correlata all’immobilità prolungata, una situazione che rende necessaria una mobilizzazione precoce dei pazienti. Latronico spiega che mantenere i pazienti svegli è essenziale per facilitare questi movimenti, dato che la sedazione impedisce la loro capacità di partecipare attivamente alla riabilitazione.
La mobilizzazione precoce dei pazienti ha dimostrato di ridurre l’insorgenza di delirium e di contribuire a un miglioramento cognitivo prolungato. Risultati di studi recenti confermano come un minor uso di sedativi e un incremento di fisioterapisti in terapia intensiva possono avere un impatto notevole sulla ripresa fisica e mentale degli individui. Così facendo, non solo si riduce la necessità di successivi interventi, ma si migliora anche la qualità della vita post-degenza. Latronico conclude sottolineando che, sebbene la trasformazione del modello terapeutico in Italia sia in corso, ci sono ancora molte sfide da affrontare per garantirne un’applicazione uniforme e soddisfacente.
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