Ugo Gaiani: “Ritorno alla cura senza distrazioni, concentrandomi sui pazienti in un hospice”
Dopo una carriera di 35 anni come medico di famiglia e l’esperienza drammatica del Covid-19, Ugo Gaiani di Guastalla (Reggio Emilia) ha deciso di dire addio alla professione in anticipo, a causa delle oltre 50 chiamate al giorno da parte dei pazienti e dei pesanti carichi burocratici. Nel luglio scorso, per “festeggiare” la pensione, Gaiani ha distrutto il suo telefono in piazza, accompagnando l’atto con la canzone di Mina “Se telefonando”, un gesto che ha attirato l’attenzione dei media.
“È stato un gesto nato per scherzo, prima di un brindisi con gli amici, fatto per me e non per diventare un fenomeno mediatico come è successo. Ma sicuramente è nato dalla frustrazione per come il lavoro con i pazienti si era trasformato. Oggi lavoro in un hospice, senza telefono e senza burocrazia, in una situazione in cui il rapporto con il paziente è al centro. Le cure che offro hanno un impatto evidente. Ora mi sento davvero un medico”, spiega Gaiani all’Adnkronos Salute, commentando un’indagine secondo cui un medico perde fino a 3 ore al giorno al telefono. “Non mi sorprende affatto, anzi”, aggiunge.
Il suo approccio al lavoro è sempre stato diverso: “Ho sempre utilizzato un telefono fisso con segreteria telefonica per comunicare con i pazienti, quello che poi ho distrutto, mai il cellulare. I pazienti mi lasciavano messaggi, in media 40/50 al giorno, li ascoltavo e li chiamavo uno per uno, con circa 6 minuti di conversazione per ciascuno. Trecento minuti al giorno, 5 ore di telefonate e un’ora per le email. Questo accadeva 5 giorni a settimana. Fortunatamente non ero abituato a usare WhatsApp”. Questa situazione è diventata estremamente stressante nel tempo.
“Si parla di burnout quando un lavoratore è sottoposto a tanto stress per troppo tempo. E per quanto mi riguarda, questo ‘troppo tempo’ si riferisce soprattutto al periodo post-pandemia”, racconta Gaiani. Durante le prime fasi dell’emergenza, lui e i suoi colleghi ricevevano più chiamate, ma era una situazione “normale” in quel contesto. Pensavano che sarebbe passata. Ma non è successo, anzi: i pazienti hanno cominciato a chiamare alle 20 o addirittura più tardi. L’emergenza è finita, ma il numero di chiamate non è diminuito. È stato davvero molto stressante”.
Negli ultimi anni, la professione è diventata molto più difficile per Gaiani: “In alcuni momenti della giornata non facevo in tempo a riattaccare che il telefono suonava nuovamente. Ho passato intere giornate in cui il telefono squillava ininterrottamente. È stato molto pesante, anche se ho visto molti colleghi più giovani gestire il rapporto con il telefono con molta più tranquillità. Così ho deciso di anticipare la pensione con il ‘gesto liberatorio’ l’ultimo giorno di lavoro, anche se lo facevo a malincuore perché speravo di andarci magari a 69 anni, ma sono andato a 66 perché semplicemente non ce la facevo più”.
Tuttavia, Gaiani non ha smesso di fare il medico. Ora si occupa di cure palliative in un hospice, ma lavora secondo i suoi tempi, senza il telefono che squilla continuamente. Prima di questo ruolo, Gaiani si era già occupato di cure palliative come medico di famiglia per 15 anni. “Nel nostro territorio, queste cure vengono fornite a domicilio o in un hospice, dove lavora un team di medici di famiglia. Quando ho iniziato questa attività, ho scoperto cosa significasse davvero essere un medico per me. In questo campo, il professionista compie azioni che hanno un impatto immediato e instaura relazioni con i pazienti e le famiglie che offrono una grande gratificazione professionale e umana. Mi sento davvero un medico”, conclude Gaiani.