M5S: Il punto di vista di Follini sulle critiche, il silenzio cinico dopo lo show di Grillo

Beppe Grillo da Fazio: Uno spettacolo politico da non dimenticare

Un’occasione mancata per una riflessione politica

L’eco dello show televisivo di Beppe Grillo da Fazio si è spenta rapidamente, come spesso accade con le esternazioni politiche. Un grande clamore iniziale, seguito da un silenzio che annuncia l’oblio. Tuttavia, sarebbe un errore archiviare l’argomento troppo in fretta, considerando che si stava discutendo degli ultimi dieci anni della nostra vita pubblica.

Il programma televisivo non era dei migliori, con il solito repertorio di battute e monologhi a cui il comico ci ha abituato nel corso degli anni. Tuttavia, la sua performance sembrava affetta da una sorta di stanchezza esistenziale che le parole scandalose non riuscivano a nascondere. Nonostante i numeri di ascolto, mancava la verve dei giorni migliori.

Ma la questione non riguarda lo spettacolo in sé, bensì la politica. La sera in questione, a parlare – e talvolta a straparlare – era un signore che ha fondato un movimento politico che cinque anni fa ha ottenuto il consenso di un terzo degli elettori, ha governato per un’intera legislatura e ha attirato l’attenzione internazionale come un esempio tipico del populismo contemporaneo. Era lecito aspettarsi una riflessione politica su tutto questo.

Tuttavia, il fondatore di questo movimento non ha avuto il coraggio di difendere la sua creatura, considerando i risultati non esaltanti. Non si è nemmeno sentito in dovere di fare una critica costruttiva di tutti i passaggi che hanno portato dalla speranza alla delusione. Ha ammesso di non aver raggiunto il suo obiettivo, ma lo ha fatto con una leggerezza disarmante, come uno showman che ammette che la sua performance non è stata delle migliori.

Né i suoi sostenitori, né quelli di oggi, hanno colto l’occasione per spingere la riflessione un po’ più avanti. Non che dovessero flagellarsi, ma almeno riflettere su ciò che è andato storto, con la speranza di poterlo correggere un giorno. Questo è ciò che avviene di solito in tutti i partiti democratici. Tuttavia, sembra che un movimento senza radici e senza troppi pensieri non sia in grado di affrontare una discussione seria e approfondita come facevano i partiti del passato.

È sorprendente la mancanza di volontà di tutto questo mondo, che ha avuto il controllo del nostro paese per un certo periodo di tempo, di aprirsi al confronto, sia con se stessi che con gli altri. Non una parola di autocritica, nessuna giustificazione per tutte le delusioni, nessun’ammissione di difficoltà. Nemmeno l’annuncio di un cambiamento. Dal fondatore al successore, fino all’ultimo dirigente, il silenzio è assordante.

Tutto ciò è un segno di cinismo, un emblema di un mondo che sembra non aver mai creduto davvero nelle sue parole e nella rivoluzione dei suoi costumi. Non si chiede loro di indossare il saio del penitente, ma almeno di fare ciò che è sempre stato fatto in tutti i partiti: riflettere sugli errori commessi per evitare di ripeterli. Anche l’ultimo politico della vecchia repubblica lo avrebbe fatto. Il fatto che gli audaci protagonisti della terza repubblica non lo facciano ci fa riflettere.