La sfida della sicurezza quotidiana a Milano
Una giornata che inizia evitando le borseggiatrici sulla metro; che prosegue tentando di evitare le aggressioni degli sbandati sulla via per il lavoro; e che non si sa mai come termina. Giorno dopo giorno il copione non cambia, l’incertezza che avvolge la quotidianità. Di sicuro c’è solo una cosa: il bonifico di cinquemila euro che ogni mese deve inviare di tasca sua per pagare una agenzia che garantisca l’incolumità a lei e ai ragazzi e alle ragazze che lavorano nel suo bar, tra il Pirellone e la Stazione Centrale di Milano.
La storia di Luana, store manager di un caffè a Milano
Si chiama Luana ed è la store manager di un moderno caffè in uno dei luoghi simbolo di Milano, frequentatissimo da turisti e viaggiatori appena arrivati nel capoluogo della Madonnina, oltre che da giovani studenti e lavoratori che in quel locale trovano volti sorridenti, diventati per molti familiari, che aiutano ad iniziare le giornate con un po’ di ‘dolcezza’ e calore umano. Ma per Luana e il suo gruppo di lavoro, recarsi al lavoro è una vera e propria lotta quotidiana: “Il problema della sicurezza è reale, anzi realissimo -dice all’Adnkronos- noi lo vediamo sin dalle prime ore della mattina, per tutto il giorno”.
La quotidianità pericolosa di Luana
“Per me -spiega- significa svegliarmi al mattino sapendo che in metro dovrò stare attenta alle borseggiatrici, poi quando, dalla Stazione Centrale dovrò uscire per attraversare la piazza, per raggiungere il mio posto di lavoro, dovrò guardarmi le spalle per difendermi da scippatori e malintenzionati che in questa zona sono davvero tanti. E poi non sai mai che cosa capiterà nel corso della giornata”. Perché malgrado ci troviamo di fianco al Pirellone, “qui davanti sembra terra di nessuno”.
La decisione di chiamare un’agenzia di sicurezza
“Una mattina, ad esempio, sono arrivata insieme ad una collega per aprire il bar; dal nulla è spuntato un senzatetto che senza alcun motivo mi ha tirato un pugno in mezzo al petto, scaraventandomi addosso alla vetrata. Per fortuna poco distante c’era un cliente che stava aspettando l’apertura, che ha avuto il coraggio di non girarsi dall’altra parte, ma è intervenuto salvandoci da conseguenze peggiori. Insieme abbiamo subito chiamato le forze dell’ordine, e abbiamo dovuto aspettare venti minuti prima che arrivasse qualcuno. E quando sono arrivati hanno portato via quel pazzo e io ho sporto denuncia”. Come è finita? “Che dopo qualche ora il pazzo era di nuovo qua”.
A quel punto, “con la mia azienda abbiamo deciso di organizzarci e chiamare una agenzia di security, per poter avere degli addetti alla sicurezza a presidio del locale. Inizialmente i bodyguard coprivano tutto l’arco delle ore di apertura del bar, ma ora abbiamo dovuto ridurre il servizio a due fasce di intervento, una in apertura e una in chiusura, per limitare i costi perché erano davvero troppo gravosi per noi. Calcolando che ci veniva a costare circa cinquemila euro al mese, totalmente a nostro carico”. Malgrado la presenza della sede della Regione Lombardia e l’arrivo dei presidi dell’esercito sul piazzale antistante la stazione, da qualche anno, la situazione purtroppo non migliora: “I presìdi dell’esercito sono un po’ un deterrente, è vero, ma purtroppo i soldati non possono intervenire per situazioni come quelle a cui dobbiamo far fronte noi quotidianamente: qualche giorno fa alcuni sbandati si sono presi a bottigliate, c’era sangue dappertutto, un delirio. I militari non sono potuti intervenire, hanno dovuto chiamare anche loro le forze dell’ordine”.
E allora, “se potessi parlare con il sindaco Sala, gli chiederei più tutela per i cittadini perché vivere qui è diventato veramente pericoloso. Io vengo da Vigevano e il degrado che ho visto crescere in questi ultimi dieci anni è qualcosa di mai visto. A casa ho una figlia di 18 anni e non voglio che venga a Milano perché viaggiare sui mezzi è diventato troppo pericoloso, girare per le vie del centro è diventato pericoloso, ovunque ci sono pericoli. Se dovessi scegliere se farla lavorare qui o lasciarla andare all’estero? Direi ovunque, ma non a Milano”. (di Cristina Livoli)